mercoledì 31 dicembre 2008

Continuum

Tutto scorre... la continuità è una caratteristica del tempo, almeno come lo intendiamo noi e senza entrare troppo nei sofismi della fisica. Vuole dire semplicemente che domani il sole sorgerà ancora, e non sarà poi troppo diverso da oggi. Forse noi saremo differenti, la coscienza del tempo che passa lascia sempre il suo segno, una tacca in più, un istante in più, un altro po' più avanti. La chiave è il segno "più" che viene comunemente incaricato di indicare l'avanzare del tempo: è come se ricordassimo a noi stessi che andare avanti è comunque sinonimo di crescere, di aggiungere, di guardare in alto. Tornare indietro è concesso raramente, e mai in termini assoluti: tornare sui propri passi è comunque un movimento in avanti nel tempo, perciò non ti bagnerai mai nelle stesse acque di un fiume... esso scorre, per l'appunto.



Perché, allora, celebrare delle ricorrenze? Cos'è che realmente ricorre, in un sistema dove tutto muta costantemente? Perché inseriamo dei "keyframes" nel flusso inarrestabile delle cose, boe che abbandoniamo immediatamente alla corrente, a cui non potremo ancorarci mai più? Cos'è che fa di una data, un simbolo inesistente in natura, un qualcosa che ci dà il senso del ciclo, del ripetersi, del ritrovare un punto noto, cui tornare ad aggrapparsi per non avere l'ansia di essere spersi nell'ignoto? È vero, esiste il ciclo delle stagioni, la Terra gira intorno al sole in un'orbita chiusa e via discorrendo, ma in realtà anche il ciclo delle stagioni, anche l'orbita della Terra non sono mai esattamente uguali a se stesse: anche il sole, domani, sarà diverso. Dunque? Perché lasciare una traccia che non potrà mai essere seguita?

Beh, a me viene in mente una cosa: per due punti passa una ed una sola retta. Che ci azzecca? Ora vi spiego. Le creature viventi, sul nostro pianeta, hanno tutte, chi più chi meno, una funzione che le differenzia dagli oggetti inanimati: la memoria. Da quella istintiva, oserei dire programmata, degli insetti e delle creature unicellulari fino a quella dei delfini, degli elefanti, e dell'uomo. La memoria è il luogo dove quei "keyframes" acquistano un significato, dove, guardando all'indietro nel tempo, puoi vedere la strada che hai fatto, le svolte, le incertezze e le direzioni che hai preso, fino ad arrivare dove sei ora, in questo preciso istante. Guardare indietro, però, non può essere fine a se stesso: sarebbe come voler guidare in retromarcia, osservando la strada solo dagli specchietti. E comunque andando indietro... io credo che il significato sia un altro. Per due punti passa una ed una sola retta. Che punti? Beh, i più ovvi: il tuo stato presente e l'ultimo ricordo che ti interessa ricordare, l'ultimo "keyframe" che vuoi prendere in considerazione. E la retta a cosa serve? Ad indicarti la strada.

Certo, espresso così può sembrare semplicistico, troppo lineare (lineare? Guardate bene...), una sorta di determinismo portato all'eccesso. Però sono convinto che è esattamente ciò che succede. Anche se più che di rette si potrebbe invece parlare di curve, di coni di probabilità, di traiettorie... che possono spesso sembrare intricate ed assurde come i bastoncini dello Shangai. E che, altrettanto spesso, necessitano della stessa pazienza e mano ferma per essere portati a ragione. Tutto, però, passa per un unico punto: adesso. Ora, in questo preciso istante, mentre io scrivo, mentre tu leggi, mentre entrambi ci spostiamo nel tempo e nello spazio. 

Non sono ònfalomane (dal greco "omphalos", ombelico), non penso che io, o chiunque altro, sia il centro dell'universo, anzi: sono convinto che l'universo esiste grazie alle relazioni che intercorrono tra tutti i suoi punti, grazie all'esistenza stessa di questi punti, che creano la trama di quest'adesso, spostandosi tutti assieme, chi in una direzione, chi in un'altra. Ma tutti in avanti. Ognuno nel proprio avanti. Alcuni nello stesso avanti. Altri in avanti opposti. Comunque avanti.

Quindi, segnamo con un'altra boa la mezzanotte di questo trentuno di dicembre del duemilaeotto ed andiamo avanti.

Buon anno a tutti.

martedì 30 dicembre 2008

Tutto sommato

È tempo di bilanci, il nuovo anno ha già suonato il campanello, tra poco entrerà in casa, sarà nostro ospite per un anno intero, bisogna preparare la stanza. Chi ci lascia, invece, sta presentando il conto: partita doppia, dare ed avere, col conguaglio di fine anno. E quest'anno, mi sa, siamo andati pesantemente in rosso. Investimenti sbagliati, speculazioni azzardate, economia creativa, molto creativa, quasi cretina, un vortice di cifre da capogiro che si sono volatilizzate, svanite nel nulla, un castello di carte che è miseramente crollato al primo soffio di vento. La piramide era rovesciata ed ha perso l'equilibrio. E pensare che la fantascienza l'aveva previsto, almeno... boh, non ricordo, ma penso non meno di vent'anni fa. Era un vecchio Urania, il titolo era "Effetto valanga", ed ipotizzava il crollo dell'economia mondiale, che, dopo affannose ricerche, si stabiliva fosse partito dal mancato acquisto di un frigorifero... la parte fantascientifica era il fatto che tutto ripartiva dopo che il governo (statunitense, manco a dirlo) con gli ultimi soldi liquidi rimasti in cassa, finanziava quell'acquisto, e la catena si rimetteva miracolosamente in piedi. Pura fantascienza, appunto.

Il nocciolo della questione, però, era assolutamente azzeccato: la fragilità intrinseca dell'economia occidentale, mutabile come il tempo meteorologico, e con le stesse probabilità di essere prevista, o pianificata. I meteorologi, però, partono con la consapevolezza che il loro lavoro può essere vanificato dal battito d'ali di una farfalla, e che la complessità della meteorologia stessa è ben lungi dall'essere pienamente compresa. Partono, soprattutto, dalla consapevolezza che esiste un "sistema pianeta" che ingloba e comprende ogni singola molecola presente sulla nostra cara vecchia palla di fango, quindi niente, assolutamente niente, è irrilevante, o secondario, od ininfluente. Solo, non riusciamo a comprendere tutto, non riusciamo a creare un sistema che possa comprendere tutto, quindi partiamo con un pesante handicap di conoscenza, di progettazione, di capacità di azione.

Una persona razionale, nella media, con queste premesse, non cesserebbe certo di agire, è stupido restare paralizzati dalla paura di sbagliare, ma certamente agirebbe con più umiltà, con la certezza che l'errore, sempre in agguato, è conseguenza diretta delle azioni umane: la presenza almeno di un piano B è assolutamente indispensabile, in qualunque situazione. La reversibilità delle proprie azioni è comunque consigliabile, tornare indietro per prendere un'altra strada non è un disonore, e l'umiltà di ammettere i propri errori è un requisito fondamentale dell'intelligenza. L'altro, è imparare dagli errori. È il solo modo di crescere.

Ma il bilancio di quest'anno è in rosso proprio su questo versante: non ho sentito che poche parole di umiltà, in sordina, e non vedo una tendenza ad imparare degna di nota. Eppure, gli errori sono macroscopici, quasi giganteschi, ed hanno lasciato tracce ben visibili della loro genesi... la sensazione è quella di gente disperatamente attaccata alle proprie poltrone, per non perdere neanche un'oncia di potere, di controllo, di ricchezza, che nega anche l'evidenza, a spese di tutti gli altri. Non so voi, io comincio a rompermi le palle, di gente così.

Tutto sommato, quindi, il bilancio di quest'anno lo potrei definire ancora una sostanziale incognita: quanto riusciremo a capire? Quanto riusciremo ad imparare? Siamo in bilico tra l'arrogante sicumera di tanti, troppi trentenni e la caparbia dabbenaggine di molti, troppi ultrasessantenni. I primi, per compensare l'assoluta mancanza di sicurezza, cercano, si creano dei punti fermi cui ancorarsi; i secondi, per coprire l'assoluta idiozia di certe scelte, forzano il sistema a rimanere in piedi, senza capire che mai le bastonate ad una mucca hanno prodotto più latte.

In mezzo, tra l'incudine e il martello, ci sono quelli come me. I figli del boom economico, i ventenni degli anni Ottanta, quelli che hanno visto l'ascesa e il declino troppo da piccoli per poter fare qualcosa, e che ora sono troppo vecchi per prendere iniziative coraggiose. Quelli che hanno atteso invano di poter prendere decisioni, che sono rimasti fregati nel ricambio, che ha perso il passo, ed ha saltato una generazione. Non è una generica geremiade, ma la consapevolezza che il nostro essere tramite tra l'incudine e il martello ha perso di significato, per trasformarci semplicemente in un cuscinetto informe tra una forza irresistibile ed un oggetto inamovibile. In effetti, per dirla alla Forrest Gump, mi sento un po' acciaccato...

Ma come per le antiche lame giapponesi, o quelle arabe, od un semplice coltello da cucina, l'essere tra l'incudine e il martello vuole dire forgiarsi, temprarsi, diventare più forti, taglienti, flessibili e resistenti... alla fine della fiera, quelli della mia generazione sanno di poter affrontare qualunque cosa, e di fatto lo fanno tutti i giorni, sanno essere pazienti, sanno mantenere la calma... però il proverbio recita "guardati dall'ira del paziente": dunque, forse, è ora di farsi girare un po' le palle. Tanto per mettere i puntini sulle "i".

Per adesso, però, mi siederò sulla riva del fiume, ad aspettare. Il tempo, si sa, risolve molte cose, chissà che non risolva anche questa. In caso servisse, gli darò una mano... a modo mio.

giovedì 25 dicembre 2008

Caro Babbo Natale...

Non poteva mancare la "letterina"...
Anche se ho poco tempo, tra mezz'ora circa si parte per il pranzo di famiglia, due righe due devo lasciarle, a testimonianza di un Natale in tempo di crisi.

Quindi, caro Babbo Natale, vedi di fare il tuo dovere, e porta un po' di speranza, un po' di serenità a tutti quelli che ne hanno davvero bisogno. Oggi il cielo è grigio, un freddo umido permea questa strana atmosfera natalizia, ma io so che oltre le nuvole il sole continua a splendere. Forse un po' indifferente alle cose umane, ma splende. Allora, andiamo avanti, sempre e comunque, e cerchiamo di godere dell'oggi, perché, come diceva un saggio dei cartoni animati, "ieri è storia, domani è un'incognita, ma oggi è un dono... è per questo che si chiama presente!".

Bene, oggi è il venticinque di dicembre del duemilaeotto, quindi:
buon Natale a tutti!

giovedì 4 dicembre 2008

Tempo al tempo

Dare tempo al tempo: prendersi una pausa, fermarsi a riflettere, o semplicemente attendere che una catena di eventi avviati segua il suo corso. Questo, secondo me, il significato di un luogo tanto comune da essere scontato. Tuttavia, proprio il suo essere scontato non dà la misura esatta di quanto sia in realtà disatteso: chi ha tempo, ormai, di attendere? Chi sa, conosce ed applica questa antica massima con cognizione di causa? Il luogo comune più contrapposto a questo è che tutti andiamo di fretta, ma anche qui i pareri sono discordi.


Saper attendere, come saper correre, la pazienza associata all'adrenalina, il cambiare stato con un semplice atto di volontà: in una parola, il controllo delle proprie emozioni e delle proprie reazioni è uno dei punti centrali del "conosci te stesso", ed è, non a caso, uno dei cardini di tutte le filosofie orientali. Che tanto ammiriamo, in Occidente. Senza, ovviamente, capirne un fico.


Eppure, qualche indicazione dalla lontana Asia l'abbiamo saputa trarre, e tradurre in sistemi per noi più comprensibili: basti pensare a quello splendido manuale di sopravvivenza che è "Lo zen e l'arte della manutenzione della motocicletta" (che, porca miseria, ho appena perso nella libreria), dove nella pratica più comune legata all'occidente industrializzato e materialista, la manutenzione di un mezzo meccanico, si ritrovano tutte le tecniche e l'arte del controllo delle emozioni tipiche dello zen e di molte altre discipline.


Ecco. Il distacco dalle emozioni, il loro controllo, non significa necessariamente non averne, disprezzarle o volersi allontanare da esse. Significa, secondo me, averne così tante da necessitare di un modo per trarne profitto, per non esserne travolti, per apprezzare di ognuna il giusto sapore, ed averne profonda consapevolezza.

Qualcuno, la chiama semplicemente pazienza.

martedì 18 novembre 2008

Tramontana

I primi freddi si affacciano e le giornate si accorciano. Il cielo, se e quando è sereno, acquista l'azzurro intenso delle montagne, che sono nitide e nette sullo sfondo della cartolina che vedo dal mio balcone, le più lontane, le più alte, già ingrigite dalle prime nevi.


La tramontana spazza le nuvole, deterge il cielo, riporta l'ossigeno freddo e vitale che invoglia a respirare a pieni polmoni. Amo questa sensazione, il vento freddo, che ti spinge e ti sostiene, taglia la faccia, ma riscalda l'anima e spinge a pensare. Il cristallo del cielo spinge lo sguardo più in là, a cercare le stelle che nasconde, una inaspettata falce di luna ti sorprende, diafana, a ricordare, a confermare che oltre c'è ben altro.

Tramontana... intirizzito, ma con una quieta adrenalina che ti sostiene, assapori il vento che ti passa tra i capelli, rombo bassissimo e ineguale nelle orecchie, un messaggio? Cosa mi vuole dire? Come faccio a rispondere? Mi rilasso nel tepore della giacca pesante, le mani in tasca, leggere, lascio che gli spifferi entrino dal collo, facciano respirare tutto il mio corpo, e non sento più freddo, né fatica.


Ovindoli, tanti anni fa. Era una giornata così, e camminando mi sono sporto per caso oltre il crinale: una raffica violenta e gelida mi ha quasi fatto cadere. Sono salito ancora, il vento era teso, gelido, sotto di me un vallone che correva stretto, in cui la tramontana si era incastrata per sgorgare là, violentissima, tsunami d'aria. Sono rimasto a lungo su quel crinale, sospeso nel tempo e nello spazio, la pressione era così forte da farmi credere di potermi abbandonare, di potermi librare, staccarmi da terra, da tutto e da tutti, dimenticare il peso che ti grava sul petto. E volare.

Ma oramai ho perso la tramontana.

venerdì 7 novembre 2008

Eppur si muove...


Non devo spiegare (spero) da chi e perché fu pronunciata questa arcinota frase. Mai come adesso, però, mi sembra adatta alla situazione. Contro l'oscurantismo becero, contro i radicalismi fanatici, contro le controriforme, contro e basta, si muove...


Che qualcosa si muova ormai si intuisce, l'Onda si propaga, e un sottile refolo di speranza rinfresca le fronti sudate dalla fatica e dalla paura. L'Onda, e non parlo solo degli studenti, si allarga, cerchi concentrici placidi si dipartono dai tanti tuffi dei sassolini nell'acqua stagnante. Placidi, non domi: non serve uno tsunami per cambiare le cose, a volte. Basta essere costanti, coerenti, implacabilmente fermi nelle proprie convinzioni, ma adattabili come l'acqua.


Basta guardarsi intorno... in fondo, non serve un telescopio per vedere la realtà che ti circonda, anzi. Usare i propri occhi, la propria testa, senza mediatori mediatici, senza vivere per interposto tubo catodico è la cosa più naturale di questo mondo. Ed è gratis. Sarà mica per questo che vogliono privatizzarla?


Beh, cerchiamo di non farci privatizzare il cervello. In fondo, quella stanza chiusa da dove guardiamo il mondo è l'unica cosa ancora nostra che ci rimane. E l'unica dove mai nessuno potrà entrare.

Il refolo si alza... è fresco, quasi tagliente, ma ristora. E porta la pace.

sabato 25 ottobre 2008

Altri giorni, altri occhi

Era il titolo di un romanzo di Urania di tanti anni fa. L'ho preso in prestito, senza quasi nessun collegamento con la trama, perché mi trasmette un senso di straniazione che è molto simile a quello che provo oggi.
Non si  può più ignorare: la situazione si sta facendo seria, e non basteranno  le tonnellate di spazzatura riversate nei media per seppellirla, per trasformare la virtualità in realtà. Siamo alla frutta. Sarebbe saggio ammetterlo, recitare il mea culpa e tentare di andare avanti, in un'altra direzione. Perché è ormai evidente il muro dove stiamo per schiantarci, ed è idiota non frenare e tentare di evitarlo.

Salvo, ovviamente, il non essere già più su quell'autobus.


Altri giorni, altri occhi... è come dire che ogni mattina, quando ti svegli, sei un'altra persona, che il tuo sguardo sul mondo è diverso da ieri, perché anche se tu ti senti lo stesso, è il mondo che è diverso... oggi è GIÀ un altro giorno, e lo devi guardare. Adesso. Con buona pace di Rossella O'Hara.

C'è qualcosa che bisogna fare ora, in questo momento, e rimandare non è più né possibile né accettabile. Bisogna solo capire cosa. E non c'è tempo per capire, non c'è tempo per riflettere, per pianificare, per sedare le proprie ansie e le proprie paure, bisogna impugnarle, come fossero le uniche armi che abbiamo, ed andare avanti, groppo in gola e pugnal tra i denti... ma non sono "gli altri" che dobbiamo combattere, stavolta.

Tante volte è successo, tante volte, nella storia, si sono presentate le stesse condizioni, tante volte sono stati commessi gli stessi errori, e tanto, troppo sangue è costato il non capire certe lezioni. L'errore più grande è commettere due volte lo stesso sbaglio. Allora, forse, fermarsi un attimo, non partire a testa bassa ed occhi chiusi, guardarsi intorno, forse parlare, di certo pensare, comunque gettare ponti tra le diversità, stringersi all'altro, all'alieno, all'estraneo, è meglio, è molto meglio che non distruggerlo. Potresti accorgerti che stai davanti allo specchio, e ti sei appena sparato addosso.

L'economia... è paradossale che da una parte abbia il significato di "risparmio", "ottimizzazione", "razionalizzazione", e dall'altro quello di "ricchezza", "consumo", "sovrabbondanza". Tutto ruota intorno ad essa, perlomeno nel mondo occidentale, ma le due facce della medaglia si inseguono senza sosta, come una moneta che, gettata in aria, non abbia ancora deciso per il testa o croce. Dove "testa" sta per l'uso della ragione, e "croce"... fate un po' voi.

"Homo Homini Lupus", l'uomo è il predatore di se stesso. Il cannibalismo non è dunque mai morto? Anche se non si servono piatti di portata, continuiamo a sbranarci gli uni con gli altri? Uh... il vecchio Neanderthal cammina ancora insieme a noi, dunque (non credo che i Neanderthal praticassero il cannibalismo, e comunque non discendiamo da loro, ma avete capito il senso, n.d.A.). La predazione come istinto di sopravvivenza la posso capire, anche se ormai non mi sembra granché necessaria, ma la predazione per il gusto della predazione è una forma di devianza mentale che andrebbe come minimo curata. Quindi, la domanda è: ma a cosa cazzo ti servono tutti quei soldi? Quale deviazione psichica di tipo messianico ti porta a desiderare di decidere il destino di tutti gli altri? Perché VUOI il potere, il comando, il controllo? Perché spendi fatica e sudore e sangue (di altri) per ottenere un qualcosa che comunque non ti soddisferà, perché ne vorrai ancora, e di più, quindi, perché vuoi essere infelice? E soprattutto, PERCHÈ VUOI RENDERE INFELICE ANCHE ME? Decidete voi a chi volete rivolgere queste domande... i soggetti non mancano di certo.


Bene, credo di aver trovato la risposta, alla fine. La forma più grande di ribellione, di rivolta, di sommossa, di disobbedienza civile. La cosa più devastante che si possa immaginare, quello che spunta tutte le armi del mondo, che determina sempre e comunque la fine di tutti i conflitti.
Contro tutte le aspettative, a dispetto di tutte le crisi, nonostante le pestate di calli, gli sberleffi, gli insulti, le pugnalate e chi più ne ha più ne metta...

io, e lo decido io, sono felice lo stesso.

venerdì 17 ottobre 2008

Quarant'anni dopo

Ero troppo piccolo per capire, ero troppo piccolo anche solo per ricordare, ma le memorie di quarant'anni fa sono state lette, e rilette, e revisionate troppe volte perché non possa ricordarmi che, in qualche maniera, c'ero anch'io.


L'influenza di "quell'anno" è stata così grande, così confusa, così visionaria che a quarant'anni di distanza ancora c'è (me per primo) chi non ne ha capito niente.
Oh, non credo di essere il solo, e la riprova l'ho avuta quest'oggi, per caso. Ascoltavo la radio, in macchina, i due stralunati di Caterpillar, e le loro telefonate al popolo dei manifestanti, quei manifestanti della scuola, dell'università e della ricerca che oggi si sono presi (almeno a Roma) un bell'acquazzone addosso pur di manifestare il loro disagio e la loro rivolta contro le riforme dell'attuale ministro della pubblica istruzione e i tagli del caro vecchio Tremonti alle strutture pubbliche.

Ragazzi, e non ragazzi, e gli echi del '77 (quello sì, che l'ho vissuto) erano evanescenti come fantasmi stanchi. Figurarsi quelli di quarant'anni fa. Eppure, dovevano essere veramente tanti, a Roma, Milano, Venezia, Verona, Torino, e tante altre città che non ricordo. Roba da far cadere i governi. Una leggenda metropolitana (ormai) narra di un governo Andreotti che cadde perché a Roma scesero un milione di metalmeccanici a protestare... altri tempi, evidentemente.

Oggi, è come se non fosse successo niente.

Non una notizia sui media, non una eco, seppur pallida, nei discorsi dei colleghi al lavoro... e sì che è argomento molto più pregnante dell'ultima partita o delle disavventure della diva. Unico piccolo "bip" di ritorno, l'aria seccata di una madre perché la figlia non andava a scuola. E basta.

Fa un po' tristezza, vedere ridotti in questo modo gli unici che possono e devono ancora sperare di cambiare il mondo. Fa un po' rabbia capire che siamo stati definitivamente addomesticati, anestetizzati, tarpati. Fa un po' disgusto sentire che comunque anche tu non senti più l'adrenalina scorrere e darti la forza di reagire.

E fa un po' pena pensare che, in fondo, anche quando scorreva non hai poi cambiato granché.

lunedì 13 ottobre 2008

Autopsia per una stampante

Forse è stata una follia, ma ho deciso di effettuare l'autopsia della stampante, morta per cause ignote qualche mese fa. Tanto, mi sono detto, sta solo prendendo polvere sullo scaffale, in attesa che trovi il coraggio di smontarla, o la vigliaccheria di buttarla senza neanche averci provato. E poi, sin da bambino ho avuto la curiosità di sapere come funzionavano le cose... ho "ucciso" una quantità sorprendente di mangiadischi, quando avevo quattro anni, prima di capire come fare per smontarli senza distruggerli... (nota per le giovani generazioni: il mangiadischi è il bis-bis-bis-bisnonno degli attuali iPod, e funzionava con degli antiquati dischi di vinile a 45 giri... chi ha meno di quarant'anni non credo se lo possa ricordare) ma da allora mi affido ad un principio: se qualcuno l'ha montato, io lo posso smontare. Il che ha fatto ingigantire a dismisura la mia collezione di attrezzi (e il mio ego): se serve a smontare qualcosa, lo devo avere.

L'autopsia è iniziata alle quindici del dodici ottobre: attrezzi a portata di mano, carta di giornale sul tavolo, guanti di lattice (l'inchiostro macchia) e tenuta estiva da imbianchino (jeans tagliati al ginocchio e t-shirt)... e via alla caccia della prima vite da smontare.

Anatema a tutti gli ingegneri e i progettisti! Che possano soffrire quanto soffre chi tenta di smontare i parti delle loro menti malate... per togliere la sola copertura superiore ho dovuto svitare diciotto viti... nascoste con intenti perversi in angoli impossibili da scovare.

Tuttavia, la mia innata testardaggine ha avuto ancora una volta la meglio, e dopo un'ora circa ero a mettere allo scoperto la testina di stampa, obiettivo primario della mia dissezione. Riesco ad estrarla, e dopo una prima sommaria pulizia, individuo il problema, ovvero la causa del decesso: infarto al miocardio.
Non ci sono dubbi: il nastro di contatti elettrici è spellato e rotto, e la plastica tutto intorno appare deformata e fusa... un corto circuito ha devastato il delicato insieme, decretando il "de profundis" per la gloriosa Epson.


Sopra, il coperchio della testina di stampa deformato; sotto, i contatti cortocircuitati.


I motivi? Le indagini hanno seguito due strade: difetto meccanico a seguito di "clogging" degli ugelli, oppure conseguenza del tentativo di sturare gli stessi con mezzi poco appropriati. Non ho trovato conferme per nessuna delle due ipotesi, ma temo fortemente che possa essere stata la seconda, a causa della considerevole quantità di liquido iniettato e fuoriuscito dalla testina nel tentativo di "stappare" gli ugelli. La guarnizione risultava poco efficiente, e il liquido entrava in contatto con l'apparato elettrico... con le inevitabili conseguenze.

In sintesi: l'ho annegata, e mi merito tutta la colpa.

La cosa mi ha infastidito non poco, quindi sono andato alla ricerca di parti di ricambio.... che ho scoperto praticamente non esistere, per questa classe di stampanti. È come se ti dicessero "visto quello che l'hai pagata, ti conviene ricomprarla nuova". Tipico ragionamento che mi fa imbestialire. Durante la ricerca, mi sono imbattuto (in realtà ho cercato) in un'offerta speciale nel megastore più vicino a casa... la nipote di primo grado della mia stampante ad un prezzo, tre anni dopo, di due terzi inferiore a quello che l'avevo pagata. Maledetti.

Sono saltato in macchina e sono andato a comprarla.

giovedì 2 ottobre 2008

Una mela al giorno

...dicono tolga il medico di torno. Eliminata l'ovvia banalità legata al titolo di questo post, andiamo avanti.

Non di mele voglio parlare, ma di una sensazione che mi ha colpito qualche giorno fa, in una maniera al tempo stesso consueta ed insolita, e che mi ha spinto a riflettere sul mio modo di pormi nei confronti delle scelte che si è, volenti o nolenti, costretti a fare.

La scelta in questione la lasciamo perdere, è una di quelle che mi turbano di più, comportano prese di responsabilità contro le istituzioni, contro il "sistema", anche finanziario, e devono essere fatte in genere in condizioni da "salto nel buio", cosa che genera credo in chiunque un pizzico d'angoscia. In me, invece, genera montagne d'ansia, marosi che tipicamente prendono allo stomaco, nausee violente, in breve: delle belle crisi di panico.

Capita, certo, ma il mio limite è sempre stato quello di farlo capitare anche per le cose più piccole, bastava coinvolgessero situazioni di pagamenti, tasse, balzelli, procedure legali, una multa, un modulo da compilare... praticamente tutto quello che comporta la responsabilità di adulto inserito nel sistema.

Eccolo, il punto: la parola adulto, anche se cronologicamente mi si può adattare, fino ad un po' di tempo fa sarebbe stata assolutamente esagerata. Ora, forse, ma veramente forse, inizio a capire cosa possa significare, e soprattutto inizio a scoprire quali siano i miei limiti reali, primo indispensabile passo per riuscire a superarli.

La mia reazione, questa volta, è stata veramente differente: iniziata come al solito, con un nervosismo strisciante che sale, sale... fino a bloccarmi il diaframma, si è magicamente sciolta, nell'infinitamente breve arco di una mezza giornata (rispetto al solito, ovvio). Magia? Consapevolezza? Riti di autocoscienza orientali? Nulla di tutto ciò: ne ho semplicemente parlato, senza nascondermi dietro un dito, senza scaricare le mie ansie, ma condividendole, facendo partecipe chi mi sta vicino dei miei dubbi, in modo sereno, aperto, cercando io per primo di capire cosa non va in me, nelle mie reazioni, nella mia neanche troppo nascosta visceralità.

Meraviglia delle meraviglie, anche chi mi ha ascoltato ed ha parlato con me ha abbandonato le sue ansie e le sue paure, ci siamo trovati vicini e complici come da troppo tempo non accadeva, lo stress e le abitudini fanno spesso dimenticare quanto sia necessario questo confronto all'interno di un rapporto, che sia di coppia, come nel mio caso, ma anche d'amicizia, o di lavoro, o di quello che ti pare.

Così, ora, sono più sereno: i problemi ci sono e restano,sono io che sono cambiato nel modo di affrontarli. L'effetto collaterale è che sei più lucido, riesci a pensare più chiaramente e, ma guarda un po', risolvi prima e meglio qualunque problema.

Non esiste, purtroppo o per fortuna, una medicina che possa restituire questo stato mentale a comando: so già che ricadrò nel mio vecchio modo di essere più di una volta, ma so anche che ho trovato il modo, e soprattutto le persone, con cui uscirne fuori.

E la mela? Ah, già, la mela... non c'entra assolutamente niente. Non si era capito?

domenica 28 settembre 2008

Endless waltz

Non so ballare, questo à un fatto. Ma un valzer senza fine lo sto danzando da sedici anni, delicatamente, indissolubilmente avvinto alla stessa persona... e non mi stancherò mai di danzare con lei.

Donatella, oggi, ha letto per la prima volta il mio blog, ed ha voluto postare un commento. Era talmente buffa, alle prese con la tastiera, che mi sono dovuto allontanare per non ferirla con le mie risate. Il computer, la rete, internet e i blog sono oggetti sconosciuti, per lei, e vederla avvicinarsi ad essi è stata una cosa divertentissima... e tenera.

Così, mentre riscorrevamo a ritroso i miei post, mi sono accorto che di lei ho effettivamente parlato poco, eppure è una parte indispensabile della mia esistenza, il cuore stesso della mia vita... senza, credo non sarei neppure vivo.

Allora ho deciso di pubblicare la sua foto più bella, quella scattatale da un amico fotografo assieme alla neonata nipotina Giulia, aveva allora diciassette giorni, nel dicembre di due anni fa. È la foto che fa da sfondo alla scrivania del mio Mac, sia a casa che in ufficio, e non mi stanco mai di guardarla: è il ricordo costante delle mie emozioni più belle e più profonde, e mi accompagna tutti i giorni, tutto il giorno, anche a computer spento.


Mi ricorda che vivere è, innanzitutto, gioia.

martedì 23 settembre 2008

Landing on a desert planet


Atterrando su un pianeta deserto: la traduzione del titolo di questo post. In effetti, potrebbe sembrare che non sia esattamente questo, il pianeta Terra, Sol3, Gaia o comunque lo si voglia chiamare: siamo talmente tanti che è più simile ad un formicaio... eppure, questa dannata palla di fango che rotola nello spazio è anche un deserto. Un deserto di possibilità, di prospettive, in buona sintesi, di futuro.

Un eminente scienziato ha appena dichiarato che ci siamo mangiati tutto ciò che era a nostra disposizione per l'anno 2008, e siamo al 23 settembre, di conseguenza, o si digiuna fino a Capodanno, o si comincia a consumare la roba dell'anno prossimo... alla faccia dei "future"! Che sia vero, non sia vero, sia puro allarmismo o consapevole segnale d'allarme, non sono in grado di giudicarlo, ma la sensazione che lascia fa accapponare la pelle. Io sono anche sovrappeso... che faccio? Da domani non mangio più? O vado a ravanare nella spazzatura (quella sì, che abbonda) per recuperare un po' dello spreco dei giorni passati? Sono un debole, non ne ho lo stomaco. Forse un giorno sarò anche costretto a farlo, ma per ora non ci riesco proprio.

Eppure, sempre a detta del suddetto studioso, proprio la spazzatura sarà la nostra più prossima e più utile risorsa... preparate guanti e mascherine (ed acquistate azioni di chi produce antiemetici: andranno a ruba), stiamo per entrare nella più puzzolente delle ere: l'età d'oro della discarica. Già alcune delle popolazioni più furbe hanno inviato i loro primi scout per preparare il terreno: basti guardare le grandi discariche alle porte di Rio de Janeiro, o delle (poche) grandi città africane, dove schiere di ragazzini armati di rozzi uncini e capienti sacchi di plastica frugano senza sosta sopra Everest di rifiuti per recuperare il recuperabile, riciclare l'irriciclato, lo sprecato, l'apparente scarto.

Oppure basta pensare ad alcune "tribù" di giovani nella civilissima Australia che praticano il "garbaging", una sorta di ribellione al sistema consumistico, e campano mangiando (esatto, mangiando) quello che trovano nei cassonetti dietro ai supermercati/ipermercati/sprecomercati della città. E campano, pare, abbastanza bene ed in buona salute... a gratis.

Landing on a desert planet... è ora di piantare qualche seme, sperare che attecchisca, e, per usare un termine caro ai cultori di fantascienza, "terraformare" di nuovo questo pianeta.

sabato 20 settembre 2008

Un piccolo miracolo

Quasi diciott'anni, cresciuto bene, sano, un po' ribelle, come piace a me, ma senza mai dare un pensiero, una noia, un fastidio. Spesso passavamo del tempo insieme, lo educavo, a modo mio, gli lasciavo i suoi spazi, la libertà di prendere la sua forma.

Le ultime ferie, abbiamo deciso di lasciarlo solo a casa: ormai grande, abituato a cavarsela da sé, ci siamo fidati, io e Donatella. E siamo partiti.
Al ritorno, la triste sorpresa: morto.

È stato un dolore inaspettato, per me e per Dona, sembrava così forte, così rigoglioso... era con noi da sempre, da quando ci siamo conosciuti, era un po' il simbolo della nostra unione, quasi uno stemma, era il nostro piccolo olmo.

Ed ora era lì... le foglie accartocciate irrimediabilmente secche, i rami senza ombra di linfa.
Abbiamo continuato a sperare, a dargli acqua, come fosse ancora vivo, senza toccarlo, senza staccare un ramo, una singola foglia, ma sembrava tutto inutile.

Ci stavamo tristemente rassegnando, quando è avvenuto il piccolo miracolo: ha ricominciato a gettare foglie nuove!
All'inizio quasi dalla base del tronco, poi, mano mano, sempre più in alto, fino ad arrivare a rametti che non avresti mai creduto si potessero riprendere. Una gioia profonda e inaspettata.

Certo, ha sofferto molto, e temo che una parte di lui non si riprenderà più, ma è ancora vivo, e vitale, e forte di quella forza di chi non si arrende mai, di chi non sa proprio cosa voglia dire essere sconfitti, di chi ha comunque visto in faccia il dolore e quasi la morte, ma non ha avuto paura di lottare, ed ha vinto.

Oggi ho affrontato il compito di riportare l'ammasso disordinato di foglie secche e foglie verdi ad una dimensione più... umana. È stato un compito delicato, quasi un'operazione chirurgica, con Donatella che assisteva, un po' in ansia, al mio tagliare di qua e di là. Credo abbia visibilmente sussultato, quando ho tagliato dei rami verdi, ma erano troppo lunghi, e le foglie troppo grandi... dovevo intervenire.

L'intervento, comunque, pare pienamente riuscito, ed il nostro piccolo bonsai sembra tornato a nuova vita. Ora, lasciamo fare alla natura... vedremo come sarà diventato a primavera prossima.

Per ora, documento il "postoperatorio" con un paio di immagini...



Settembre

Settembre... il freddo è arrivato arrogante, improvviso, a tagliare fuori un'estate che era stata sin troppo prodiga di sé. La pioggia ha dato linfa nuova alle piante e ingrigito i cieli, in un'anteprima dell'inverno che verrà. Stamane un timido sole stempera un cielo sereno ma freddo, chiuso in se stesso. Eppure solo dieci giorni fa pensavamo di essere ai tropici... E John Lennon, in questo istante, parte con "Happy Xmas": il caso ci mette del suo...

John canta anche "war is over", nello stesso pezzo: e già qui la cosa è meno adatta. Perché sono convinto che, invece, siamo in guerra: cruenta senza sangue, silenziosamente violenta, cordialmente senza quartiere, milioni, le vittime innocenti e spesso inconsapevoli, senza neanche la sensazione di essere state colpite a morte.

La guerra è quella della vita quotidiana, della schiavitù moderna, delle mandrie di persone mandate al macello nei centri commerciali, negli ipermercati, nei distributori di benzina, al lavoro ogni giorno per mantenere un sistema che ogni momento di più scricchiola e traballa, galeone spagnolo in piena tempesta tropicale, con i capitani e gli ufficiali che tranquillamente ordinano di andare avanti, che va tutto bene... mentre sono al sicuro su un'altra nave.

Ci parlano dal video, sono presenze ectoplasmiche, sembrano con noi, in casa nostra, ma non ci sono, sono letteralmente su un altro pianeta. Lontani dalla battaglia.


E mi viene da chiedermi perché combatto, per chi combatto, e come posso fare per non venire ucciso, e dove sta la via di casa, come posso uscire da questo sistema malato, che mette schiavi contro schiavi, in una gigantesca partita di scacchi (il "gioco della guerra", lo chiamavano i persiani) in cui tutti sono pedine, sacrificabili, ma re e regine non sono sulle caselle, giocano altrove.


Ho appena iniziato "Regime" di Travaglio e Gomez, un colossale pugno nello stomaco, e mi rendo conto che le mie sensazioni non erano illusorie, le mie fantasie sono il riflesso di qualcosa di ben più concreto, é tutto vero, è tutto reale, tangibile, ci sono persone che decidono della mia vita ben oltre i limiti che io gli ho concesso... hanno clonato la mia firma su una delega in bianco, e fanno ciò che vogliono. 

Senza un motivo apparente, mi torna in mente una vecchia fiaba: "Gli abiti nuovi dell'imperatore" di Andersen. La curiosità mi spinge su Wikipedia, dove scopro che Andersen ha ripreso una storia spagnola che risale almeno al mllletrecento. Come dire che la storia si ripete... lo raccontavano ai bambini dalla notte dei tempi che in certe situazioni è necessario, è dirompente, è sopravvivenza sociale dire la verità.
Anche quando sembra che nessuno la voglia sentire.


Siamo nella stessa situazione: il re è nudo, ma nessuno lo dice, i cortigiani si sperticano in lodi e commenti entusiasti, ad un tale volume che non una voce contraria riesce ad essere udita. E, per non correre rischi, hanno tappato la bocca a tutti. Se nessuno ne parla, il fatto non è reale, non esiste proprio... alla faccia di Orwell, che aveva assolutamente indovinato, se non nei modi, nel senso.

Nella fiaba l'incantesimo viene spezzato da un bimbo: l'unico a non conoscere, a non capire la paura della gente che assiste alla sfilata di quel re indecente, impudente, arrogante e totalmente stupido, l'unico a non essere stato abbindolato dai "furbi mercanti" che spacciavano il nulla come l'unica vera realtà.

Diogene cercava l'Uomo con una lanterna. Penso che sia tempo di iniziare a cercare il Bambino, con le fotoelettriche.

PERCHÉ IL RE È NUDO!

mercoledì 3 settembre 2008

Ritratto con barba 2


Mi costringeranno a tagliarla presto... allora io la documento! È la barba più lunga che io abbia mai avuto.

Back home

Splash!


Siamo tornati... già da qualche giorno. Ho come uno sfasamento da "jet lag", ancora non sono davvero dentro il solito tran tran, c'è in giro, anche in ufficio, un'aria come da vacanza protratta, ferie che sono finite, ma forse ancora no.

È strano, inconsueto, per me, sentirmi così. Non sono un viaggiatore, non lo sono mai stato, quindi in realtà non so nemmeno cosa sia un jet lag vero, ma lo straniamento che provo mi fa immaginare che ci si senta così. Non ho voglia di lavorare, cosa altrettanto insolita, ma faccio cose, vedo gente, rido, scherzo... tutto normale. Tutto normale? Un'estate passata in un lampo, come calendario, che ancora persiste come se non dovesse finire mai, il caldo opprimente di questi ultimi due giorni che fa sospirare le temperature dei millequattrocento metri, l'aria pulita e fresca, le montagne, l'azzurro del lago... tutto normale?

No, non è normale. È un senso di sospensione del tempo, è come essere spettatore della propria esistenza, guardarsi "da fuori" fare quello che ci si aspetta tu faccia, come un osservatore distratto che chiede: chi è questo? Che cosa sta facendo? Ma che curioso, guardalo, sembra un pesce fuor d'acqua, cammina, si siede, si rialza, parla, torna, si risiede, si rialza e si muove di continuo come un'anima in pena. Ma che fa?

Già, che faccio? Che facciamo, io e il mio "doppelganger", strana e allucinata coppia, se mai ce ne fu una?

Bene, francamente, me ne infischio, tanto per citare un film che non ho visto. La verità è che sto bene così, in questa sorta di limbo un po' ovattato, la testa sgombra, pensieri e problemi accantonati per un lungo attimo, lo sguardo perso in altri orizzonti. Sto forse fantasticando? Probabilmente sì. E allora? Mi sembra di essere una batteria in fase di ricarica: per una volta, una volta soltanto, prendo anziché dare.

Ma saprò farmi perdonare anche questo. Domani.

giovedì 14 agosto 2008

Three, two, one... ignition!

... a "pollo" has left home. 


Seee, pare incredibile, eppure anche quest'anno sono arrivate le ferie. Mi sento come a scuola, quando squillava la campanella della ricreazione... tutti fuori a fare casino. Beh, non è che vada proprio a fare casino, anzi, più quiete ci sarà e meglio è, devo rimettere a fuoco l'orizzonte, ultimamente la vista è calata assai. Senza un motivo apparente mi torna in mente la scena di "Ratatouille" in cui il critico chiede al cameriere del ristorante se può avere, per cena, delle "prospettive". Uh, anche nel film c'è un po' di imbarazzo... il cameriere non sa che pesci pigliare. Beh, anch'io: che prospettive ci sono?

Per questo vado in montagna, anche per questo... poter avere un orizzonte lontano, lo skyline delle montagne, eppure visibile, concreto, reale. Raggiungibile. Magari con un po' di fatica, ma comunque raggiungibile... sarebbe già tanto.

Houston, Houston, non abbiamo problemi.


Andiamo a raggiungere la luna!!!!!

sabato 9 agosto 2008

Che ve lo dico a fare?


Io ADORO Mascioni

Un attimo di calma

Un sabato mattina quasi qualunque, agosto inoltrato, è già molto caldo alle prime luci dell'alba. Stamane la solita routine della spesa è stata temporaneamente accantonata, oggi pomeriggio si va all'inaugurazione di un nuovo supermercato che Cristiano ha allestito, faremo la spesa direttamente là. Quindi, ho un po' di tempo per pensare a me, per stare tranquillo, per ascoltare musica, mentre scrivo queste parole.

Il frullare quotidiano dei pensieri rallenta un poco, riesco a scorgere meglio i dettagli, le immagini che si susseguono hanno contorni più precisi, c'è una bella luce. A che penso? Non lo so esattamente: casa, lavoro, vacanze, parenti, amici, gatti, oggetti e piante ballano un lento valzer, ognuno cercando i cinque secondi di fama in più rispetto agli altri.

Ho un estremo bisogno di riposo. Non tanto fisico, sebbene abbia una corporatura da "collaudatore di materassi" ancora riesco a farcela, quanto mentale. Avrei voglia di fuggire lontano, dare un taglio netto a tutto e a tutti, ricominciare da capo in un altro continente, "resettare" il mio sistema nervoso per rendergli la forza di mettere in pratica quello che ho imparato.

In effetti il problema sta tutto lì: credo di aver imparato molto, in questi ultimi dieci o quindici anni, su di me e sugli altri, ma più vado avanti meno mi sento in grado di mettere in pratica quello che ho imparato. Sarà una conseguenza della mia mania per l'ordine, o della mia pigrizia? Nel senso che tanto oramai è un tale casino che non vale la pena rimettere insieme i cocci... e se adesso inizio un nuovo sistema, cosa ne faccio di un passato così in disordine? Accidenti, quello proprio non posso rimetterlo a posto. Ma fa parte di me. E, ogni tanto, quando sono stanco, o nei momenti più impensati, un coccio particolarmente tagliente ti ferisce, magari a distanza di anni da quando si è rotto... vedi, a non pulire subito? Poi ci sono i cocci maligni, quelli che, quando stai col sacco della spazzatura in mano, camminando per la strada verso il cassonetto, lo squarciano d'improvviso, e spargi tutto per la strada. Merda. E ora che faccio? Finta di niente non posso, mi hanno visto tutti, ma non ho nulla con cui rimediare... se non le mie mani. E allora ingoi la vergogna, ti armi di pazienza e indossi  la dignità migliore che hai, ti chini e inizi a raccattare. Se sei fortunato, quando avrai finito, troverai una fontana pubblica dove ripulirti un po'.

Che carino... il mio jukebox sta passando i Pretenders, "Back on the chain gang", un pezzo che ha il potere di scacciare queste ubbìe. Come molto spesso la musica ha il potere di fare. Sarà per questo che "i giovani" sono così legati alla musica da non poterne quasi fare a meno? Forse. Di fatto, mi accorgo che ne ascolto troppo poca... ah! Sarah Vaughn, Misty... dell'ottimo jazz. Ho deciso: appena posso mi accatto un lettore Mp3, lo carico con tutto quello che ci entra e me lo piazzo fisso nelle orecchie. Ora siamo con Charlie Parker, "Blues for Alice"... alti livelli.

Eric "slowhand" Clapton, Tears in heaven... forse un po' malinconico, ma molto bello.

Vabbé, non sono proprio un DJ... ma fra tutti i linguaggi non verbali, la musica è il più diretto e il più profondo. Aiuta, in effetti. A volte mi ha salvato.

Ma questa è un'altra storia.

domenica 27 luglio 2008

Ritratto con barba


Beh... la prossima volta devo decidermi a prendere il decespugliatore.

mercoledì 23 luglio 2008

Come passa il tempo...

... ma davvero non entro più qui dentro da quindici giorni almeno? Orpo, come passa il tempo! È già quasi finito luglio, e non me ne sono quasi accorto. Uh, forse sarà anche perché lo stipendio arriva sempre più tardi... transeat.

Va bene, prometto di essere più presente, a me stesso e agli altri.

sabato 5 luglio 2008

Creare lavoro

Bene, non è che improvvisamente mi ritrovo imprenditore, o capitano d'industria... semplicemente devo mettere in regola la ragazza che viene a darci una mano con la nonna.

In ogni caso, il termine "semplicemente" non è assolutamente adatto alla situazione: solo la visita al sito dell'INPS è roba da mal di testa, vuoi per il linguaggio che, per quanto si sforzino, non riesce ad essere chiaro, vuoi per il carattere che pubblicano, piccolissimo. Anche se posso ingrandirlo, resta una scelta discutibile.

Non parliamo dei contenuti: all'inizio pensi di riuscire a seguire, mano mano che vai avanti ti si ingarbugliano le cose, fino ad un punto in cui ti chiedi se non hai saltato una schermata... e ricominci. A me è successo perlomeno quattro volte, ed alla fine ho deciso di sospendere e chiedere lumi a chi è più esperto di me (un grazie in anticipo a Marco Terracina), per sopraggiunti limiti di comprensione.

C'è da dire che la burocrazia, nelle sue accezioni più varie, ha sempre sortito uno strano effetto su di me: divento tonto, mi prende l'ansia, la mia testardaggine nel rifiutare le imposizioni prende il sopravvento e divento convintamente un anarchico praticante. Spiacente, è un mio limite.

La mia allergia a norme e regole, però, è una sorta di reazione anafilattica ad un tipo di comunicazione che è spessissimo nebulosa, involuta, poco chiara e, nonostante tutto, imprecisa e fuorviante. Avete mai provato a leggere un qualsiasi progetto di legge, la finanziaria, un qualunque contratto nazionale, un qualunque documento ufficiale? Il politichese non è morto, si è semplicemente ritrasferito sui documenti scritti, da dove è nato, ed a mio parere ha l'unica funzione di confondere i non addetti ai lavori. Senza nemmeno citare il fatto che, altrettanto spesso, i relatori stessi non se la cavano tanto bene, sia a scrivere che a comprendere ciò che essi stessi hanno scritto...

Il problema però resta e devo risolverlo. Vincerò il disgusto, l'istintiva repulsione, i "torcinelli allo stomaco" e regolarizzerò questa ragazza. In fondo, lo fanno in tanti, quindi lo posso fare anch'io. E chissà che non mi torni utile per vaccinarmi contro quest'allergia, e finalmente affrontare le mie responsabilità come un adulto.

Un'amica di penna, nel suo blog, si domanda chi abbia detto che la sindrome di Peter Pan colpisce solo gli uomini. Bene, non so chi lo abbia detto, ma so perché viene detto: gli uomini sono per la stragrande maggioranza dei Peter Pan, a tal punto che le poche donne che ne sono colpite si perdono nel mucchio... da qui la sensazione comune che sia uno stato mentale prettamente maschile. È solo una questione statistica.

Poi, si può sempre ragionare su cosa significhi "crescere"... ma questo è un altro post.

lunedì 30 giugno 2008

In memoria di una stampante

Essa fu. Siccome immobile, dato il mortal sospiro, stette testina immemore ebbra di tanto nero...

Dopo due anni e mezzo di onorato servizio, la mia gloriosa Epson Stylus Color DX 4800 ha deciso di andare in pensione (molto) anticipata. A nulla sono valsi i tentativi di rianimazione con cartucce originali (carissime...) solventi autorizzati e non, interventi con siringhe, carta assorbente, cotton fioc e tutto quello che mi poteva venire in mente. Non un solo picolitro di inchiostro esce più da quegli ugelli... tutti e quattro! 

La cosa mi ha creato un certo disappunto... 

Non ho osato un intervento demolitore (leggi smontaggio) solo perché, essendo una multifunzione, ha anche uno scanner e tutte le prese per le smart card che funzionano perfettamente, e che avrei sicuramente perso nel berserkrsgangr.
Ciò che, ovviamente, getta sale sulle ferite è che cose del genere accadono sempre quando il mezzo ti serve veramente, sei già in ritardo, non hai altre chances, è pure domenica... le cavallette!!!

Vabbè, direte voi, non scrivi niente da un mese e te ne esci con questa notiziola di colore da pagina trentadue?

Oh, raga, è dramma vero, sapete? Un Mac senza stampante è come una torta senza crema, una moto senza benzina, un alpinista senza piccozza, un pescatore senza lenza, una cicala senza formica, una volpe senza l'uva... Omero ne avrebbe cantato le gesta, come d'epico eroe che stenta a trovare la via del PostScript... Shakespeare avrebbe composto una tragedia più tragedia di Amleto: c'è del marcio negli ugellli... e sono sicuro che questo è uno dei frammenti perduti della "Tragedia" di Aristotele.

Insomma, il mio è VERO disappunto.

E visti i chiari di luna, è destinato a durare parecchio. Anche perché mi rifiuto di acquistare un'altra trappola InkJet, e per le laser tocca sborsare ben di più.

Va bene, va bene, i problemi veri sono sicuramente altri, lo so benissimo. E non è che non ne abbia, o che non li conosca, ma posso essere disappointed per un cacchio di meccanismo che si rifiuta di obbedire agli ordini? Non lo sopporto, ecco.

Da buon omino Black&Decker, un oggetto meccanico che non funziona mi mette in uno stato di agitazione: innanzitutto devo capire perché, poi devo capire come ripararlo, poi devo tentare di ripararlo, e poi devo RIUSCIRE a ripararlo.

E tutti quelli che mi conoscono sanno perfettamente quanto posso essere testardo.

lunedì 9 giugno 2008

La bandiera

Come (un'eternità di tempo fa) avevo promesso, ecco i primi bozzetti per una bandiera del genere umano "in toto".


Sono otto bandiere, per circa quattro-cinque idee da sviluppare, con qualche variazione sul tema. Non sono io per primo molto convinto di nessuna di esse, ma so perfettamente che in determinate situazioni l'idea giusta ci mette veramente molto ad arrivare, ed è indispensabile "togliere le ragnatele" al cervello tirando fuori tutto quel che ti passa per la testa, scartarlo e ricominciare... è un po' come fare la grappa: testa e coda vanno scartate, si tiene solo il "cuore" del distillato, e l'abilità del mastro distillatore sta tutta nello stabilire quando l'alambicco tira fuori l'uno o gli altri.

Questo, per ora, è veramente scarto, roba uscita fuori senza riflettere troppo, anche se qualche cosa si inizia a delineare, da qualche parte, ma deve essere abbondantemente sviluppata... come, per esempio, la bandiera "a pois"... dove in teoria ogni pallino nero rappresenta una nazione, mentre quello al centro è un pianeta Terra... anche se non si vede. È solo un esempio, per dire che il germe di un'idea è presente in ognuna di queste bandiere, ma l'incubazione è ancora lunga, prima di arrivare a vedere qualcosa di realmente strutturato.

Tenterò ancora... ed ogni suggerimento (o critica) è bene accetto.

giovedì 5 giugno 2008

Dayaki!

Per quelli della mia generazione, la parola "Dayaki" rievoca viaggi in terre lontane, a cavallo della fantasia stampata sulle pagine di libri già un po' ingialliti e polverosi... era la cosiddetta "letteratura per ragazzi", antesignana della ben più deleteria TV dei ragazzi, quella letteratura che serviva a passare i pomeriggi immersi nelle avventure di eroi improbabili, descritti in una lingua che essa stessa era motivo di fascinazione. Jules Verne, Emilio Salgari, Jack London e i loro (per me) meno noti colleghi hanno irrimediabilmente segnato la forma della mia fantasia, sdraiato sul letto a pancia sotto, ore ed ore, fino a farmi dolere le braccia e la schiena... definitivamente perso nei mari di Mompracem.

Proprio dai romanzi dedicati al mitico Sandokan riaffiora la parola Dayako: era il ferocissimo appartenente ad una non meglio identificata tribù di sanguinari tagliatori di teste, uno dei tanti insuperabii ostacoli che il nostro eroicissimo pirata doveva affrontare, nelle sue mirabolanti avventure.

In questi giorni, in questi tempi, il termine Dayako è riemerso dalle profondità della memoria in contemporanea con l'apparizione di alcuni "consulenti aziendali" nei corridoi del mio ufficio... i cosiddetti "tagliatori di teste", appunto.

C'è poco da stare allegri, in questo caso: non esiste eroe salgariano in grado di contrastare la drammatica realtà di un'azienda che è, volente o nolente, costretta a ricorrere a questi mezzi per poter sopravvivere, o per rimediare agli errori della dirigenza/proprietà, oppure semplicemente per scaricare su chi lavora truffe e magheggi vari...

Va bene, sono un po' in ansia... passerà.

Però, in questo momento, vorrei tanto essere un "tigrotto"... viva Mompracem!