lunedì 30 giugno 2008

In memoria di una stampante

Essa fu. Siccome immobile, dato il mortal sospiro, stette testina immemore ebbra di tanto nero...

Dopo due anni e mezzo di onorato servizio, la mia gloriosa Epson Stylus Color DX 4800 ha deciso di andare in pensione (molto) anticipata. A nulla sono valsi i tentativi di rianimazione con cartucce originali (carissime...) solventi autorizzati e non, interventi con siringhe, carta assorbente, cotton fioc e tutto quello che mi poteva venire in mente. Non un solo picolitro di inchiostro esce più da quegli ugelli... tutti e quattro! 

La cosa mi ha creato un certo disappunto... 

Non ho osato un intervento demolitore (leggi smontaggio) solo perché, essendo una multifunzione, ha anche uno scanner e tutte le prese per le smart card che funzionano perfettamente, e che avrei sicuramente perso nel berserkrsgangr.
Ciò che, ovviamente, getta sale sulle ferite è che cose del genere accadono sempre quando il mezzo ti serve veramente, sei già in ritardo, non hai altre chances, è pure domenica... le cavallette!!!

Vabbè, direte voi, non scrivi niente da un mese e te ne esci con questa notiziola di colore da pagina trentadue?

Oh, raga, è dramma vero, sapete? Un Mac senza stampante è come una torta senza crema, una moto senza benzina, un alpinista senza piccozza, un pescatore senza lenza, una cicala senza formica, una volpe senza l'uva... Omero ne avrebbe cantato le gesta, come d'epico eroe che stenta a trovare la via del PostScript... Shakespeare avrebbe composto una tragedia più tragedia di Amleto: c'è del marcio negli ugellli... e sono sicuro che questo è uno dei frammenti perduti della "Tragedia" di Aristotele.

Insomma, il mio è VERO disappunto.

E visti i chiari di luna, è destinato a durare parecchio. Anche perché mi rifiuto di acquistare un'altra trappola InkJet, e per le laser tocca sborsare ben di più.

Va bene, va bene, i problemi veri sono sicuramente altri, lo so benissimo. E non è che non ne abbia, o che non li conosca, ma posso essere disappointed per un cacchio di meccanismo che si rifiuta di obbedire agli ordini? Non lo sopporto, ecco.

Da buon omino Black&Decker, un oggetto meccanico che non funziona mi mette in uno stato di agitazione: innanzitutto devo capire perché, poi devo capire come ripararlo, poi devo tentare di ripararlo, e poi devo RIUSCIRE a ripararlo.

E tutti quelli che mi conoscono sanno perfettamente quanto posso essere testardo.

lunedì 9 giugno 2008

La bandiera

Come (un'eternità di tempo fa) avevo promesso, ecco i primi bozzetti per una bandiera del genere umano "in toto".


Sono otto bandiere, per circa quattro-cinque idee da sviluppare, con qualche variazione sul tema. Non sono io per primo molto convinto di nessuna di esse, ma so perfettamente che in determinate situazioni l'idea giusta ci mette veramente molto ad arrivare, ed è indispensabile "togliere le ragnatele" al cervello tirando fuori tutto quel che ti passa per la testa, scartarlo e ricominciare... è un po' come fare la grappa: testa e coda vanno scartate, si tiene solo il "cuore" del distillato, e l'abilità del mastro distillatore sta tutta nello stabilire quando l'alambicco tira fuori l'uno o gli altri.

Questo, per ora, è veramente scarto, roba uscita fuori senza riflettere troppo, anche se qualche cosa si inizia a delineare, da qualche parte, ma deve essere abbondantemente sviluppata... come, per esempio, la bandiera "a pois"... dove in teoria ogni pallino nero rappresenta una nazione, mentre quello al centro è un pianeta Terra... anche se non si vede. È solo un esempio, per dire che il germe di un'idea è presente in ognuna di queste bandiere, ma l'incubazione è ancora lunga, prima di arrivare a vedere qualcosa di realmente strutturato.

Tenterò ancora... ed ogni suggerimento (o critica) è bene accetto.

giovedì 5 giugno 2008

Dayaki!

Per quelli della mia generazione, la parola "Dayaki" rievoca viaggi in terre lontane, a cavallo della fantasia stampata sulle pagine di libri già un po' ingialliti e polverosi... era la cosiddetta "letteratura per ragazzi", antesignana della ben più deleteria TV dei ragazzi, quella letteratura che serviva a passare i pomeriggi immersi nelle avventure di eroi improbabili, descritti in una lingua che essa stessa era motivo di fascinazione. Jules Verne, Emilio Salgari, Jack London e i loro (per me) meno noti colleghi hanno irrimediabilmente segnato la forma della mia fantasia, sdraiato sul letto a pancia sotto, ore ed ore, fino a farmi dolere le braccia e la schiena... definitivamente perso nei mari di Mompracem.

Proprio dai romanzi dedicati al mitico Sandokan riaffiora la parola Dayako: era il ferocissimo appartenente ad una non meglio identificata tribù di sanguinari tagliatori di teste, uno dei tanti insuperabii ostacoli che il nostro eroicissimo pirata doveva affrontare, nelle sue mirabolanti avventure.

In questi giorni, in questi tempi, il termine Dayako è riemerso dalle profondità della memoria in contemporanea con l'apparizione di alcuni "consulenti aziendali" nei corridoi del mio ufficio... i cosiddetti "tagliatori di teste", appunto.

C'è poco da stare allegri, in questo caso: non esiste eroe salgariano in grado di contrastare la drammatica realtà di un'azienda che è, volente o nolente, costretta a ricorrere a questi mezzi per poter sopravvivere, o per rimediare agli errori della dirigenza/proprietà, oppure semplicemente per scaricare su chi lavora truffe e magheggi vari...

Va bene, sono un po' in ansia... passerà.

Però, in questo momento, vorrei tanto essere un "tigrotto"... viva Mompracem!

lunedì 2 giugno 2008

Col massimo rispetto

Certamente, con il massimo rispetto per tutte quelle persone che, credendoci, sono in giro per il mondo a cercare di costruire qualcosa di positivo, anche se con la divisa e armati: ma la parata militare, è veramente necessaria? Mostrare i denti, pavoneggiarsi come culturisti sul palco di mister universo, il "semo i più fforti", ha ancora un senso? Dimostrare di poter distruggere un (eventuale) nemico, di possedere l'arma più perfetta, di essere inattaccabili, indistruttibili, inarrivabili nella capacità di uccidere, non è un po' anacronistico? Sembra tanto una danza Maori...

Per non parlare del fatto che oggi forse piove, e quei poveri cristi obbligati alla parata si dovranno fare tutto sotto l'acqua, e senza citare i costi che si dovranno sostenere, dato che queste manifestazioni sono generalmente una sagra carissima...

Forse sarebbe meglio, più consono, più educativo, mostrare cosa siamo capaci di costruire: le missioni di pace, quelle vere, gli ospedali da campo, l'abnegazione di uomini che cercano di soccorrere chi ha bisogno in qualunque condizione, anche sotto le bombe, l'abilità di restituire un territorio alla gente che lo popola, con operazioni di bonifica da mine e ordigni vari, giusto contrappasso dopo averne fabbricate e vendute così tante...

Perché bisogna ricordare la festa della Repubblica ricordando solo che, come ogni Stato che mi venga in mente, è nata sul sangue e sul dolore e sui cadaveri di tantissima gente? A pensarci bene, in effetti, non  mi sovviene di uno Stato qualsiasi che non abbia subito un trauma alla sua nascita: dev'essere una cosa genetica, visto che tutti nasciamo più o meno così... traumatizzati e traumatizzando. Forse si potrebbe trarre un significato morale da questo, ma non riesco a trovarlo: sono dell'opinione che il dolore e i traumi vadano evitati quanto più possibile. L'unico sistema che ritengo ragionevole è proprio la ragionevolezza, l'uso della mente, dell'intelligenza, della capacità di costruire.

E, forse, le cose costruite sul dolore, sulla morte e sulla sopraffazione sono le più inutili...