mercoledì 31 dicembre 2008

Continuum

Tutto scorre... la continuità è una caratteristica del tempo, almeno come lo intendiamo noi e senza entrare troppo nei sofismi della fisica. Vuole dire semplicemente che domani il sole sorgerà ancora, e non sarà poi troppo diverso da oggi. Forse noi saremo differenti, la coscienza del tempo che passa lascia sempre il suo segno, una tacca in più, un istante in più, un altro po' più avanti. La chiave è il segno "più" che viene comunemente incaricato di indicare l'avanzare del tempo: è come se ricordassimo a noi stessi che andare avanti è comunque sinonimo di crescere, di aggiungere, di guardare in alto. Tornare indietro è concesso raramente, e mai in termini assoluti: tornare sui propri passi è comunque un movimento in avanti nel tempo, perciò non ti bagnerai mai nelle stesse acque di un fiume... esso scorre, per l'appunto.



Perché, allora, celebrare delle ricorrenze? Cos'è che realmente ricorre, in un sistema dove tutto muta costantemente? Perché inseriamo dei "keyframes" nel flusso inarrestabile delle cose, boe che abbandoniamo immediatamente alla corrente, a cui non potremo ancorarci mai più? Cos'è che fa di una data, un simbolo inesistente in natura, un qualcosa che ci dà il senso del ciclo, del ripetersi, del ritrovare un punto noto, cui tornare ad aggrapparsi per non avere l'ansia di essere spersi nell'ignoto? È vero, esiste il ciclo delle stagioni, la Terra gira intorno al sole in un'orbita chiusa e via discorrendo, ma in realtà anche il ciclo delle stagioni, anche l'orbita della Terra non sono mai esattamente uguali a se stesse: anche il sole, domani, sarà diverso. Dunque? Perché lasciare una traccia che non potrà mai essere seguita?

Beh, a me viene in mente una cosa: per due punti passa una ed una sola retta. Che ci azzecca? Ora vi spiego. Le creature viventi, sul nostro pianeta, hanno tutte, chi più chi meno, una funzione che le differenzia dagli oggetti inanimati: la memoria. Da quella istintiva, oserei dire programmata, degli insetti e delle creature unicellulari fino a quella dei delfini, degli elefanti, e dell'uomo. La memoria è il luogo dove quei "keyframes" acquistano un significato, dove, guardando all'indietro nel tempo, puoi vedere la strada che hai fatto, le svolte, le incertezze e le direzioni che hai preso, fino ad arrivare dove sei ora, in questo preciso istante. Guardare indietro, però, non può essere fine a se stesso: sarebbe come voler guidare in retromarcia, osservando la strada solo dagli specchietti. E comunque andando indietro... io credo che il significato sia un altro. Per due punti passa una ed una sola retta. Che punti? Beh, i più ovvi: il tuo stato presente e l'ultimo ricordo che ti interessa ricordare, l'ultimo "keyframe" che vuoi prendere in considerazione. E la retta a cosa serve? Ad indicarti la strada.

Certo, espresso così può sembrare semplicistico, troppo lineare (lineare? Guardate bene...), una sorta di determinismo portato all'eccesso. Però sono convinto che è esattamente ciò che succede. Anche se più che di rette si potrebbe invece parlare di curve, di coni di probabilità, di traiettorie... che possono spesso sembrare intricate ed assurde come i bastoncini dello Shangai. E che, altrettanto spesso, necessitano della stessa pazienza e mano ferma per essere portati a ragione. Tutto, però, passa per un unico punto: adesso. Ora, in questo preciso istante, mentre io scrivo, mentre tu leggi, mentre entrambi ci spostiamo nel tempo e nello spazio. 

Non sono ònfalomane (dal greco "omphalos", ombelico), non penso che io, o chiunque altro, sia il centro dell'universo, anzi: sono convinto che l'universo esiste grazie alle relazioni che intercorrono tra tutti i suoi punti, grazie all'esistenza stessa di questi punti, che creano la trama di quest'adesso, spostandosi tutti assieme, chi in una direzione, chi in un'altra. Ma tutti in avanti. Ognuno nel proprio avanti. Alcuni nello stesso avanti. Altri in avanti opposti. Comunque avanti.

Quindi, segnamo con un'altra boa la mezzanotte di questo trentuno di dicembre del duemilaeotto ed andiamo avanti.

Buon anno a tutti.

martedì 30 dicembre 2008

Tutto sommato

È tempo di bilanci, il nuovo anno ha già suonato il campanello, tra poco entrerà in casa, sarà nostro ospite per un anno intero, bisogna preparare la stanza. Chi ci lascia, invece, sta presentando il conto: partita doppia, dare ed avere, col conguaglio di fine anno. E quest'anno, mi sa, siamo andati pesantemente in rosso. Investimenti sbagliati, speculazioni azzardate, economia creativa, molto creativa, quasi cretina, un vortice di cifre da capogiro che si sono volatilizzate, svanite nel nulla, un castello di carte che è miseramente crollato al primo soffio di vento. La piramide era rovesciata ed ha perso l'equilibrio. E pensare che la fantascienza l'aveva previsto, almeno... boh, non ricordo, ma penso non meno di vent'anni fa. Era un vecchio Urania, il titolo era "Effetto valanga", ed ipotizzava il crollo dell'economia mondiale, che, dopo affannose ricerche, si stabiliva fosse partito dal mancato acquisto di un frigorifero... la parte fantascientifica era il fatto che tutto ripartiva dopo che il governo (statunitense, manco a dirlo) con gli ultimi soldi liquidi rimasti in cassa, finanziava quell'acquisto, e la catena si rimetteva miracolosamente in piedi. Pura fantascienza, appunto.

Il nocciolo della questione, però, era assolutamente azzeccato: la fragilità intrinseca dell'economia occidentale, mutabile come il tempo meteorologico, e con le stesse probabilità di essere prevista, o pianificata. I meteorologi, però, partono con la consapevolezza che il loro lavoro può essere vanificato dal battito d'ali di una farfalla, e che la complessità della meteorologia stessa è ben lungi dall'essere pienamente compresa. Partono, soprattutto, dalla consapevolezza che esiste un "sistema pianeta" che ingloba e comprende ogni singola molecola presente sulla nostra cara vecchia palla di fango, quindi niente, assolutamente niente, è irrilevante, o secondario, od ininfluente. Solo, non riusciamo a comprendere tutto, non riusciamo a creare un sistema che possa comprendere tutto, quindi partiamo con un pesante handicap di conoscenza, di progettazione, di capacità di azione.

Una persona razionale, nella media, con queste premesse, non cesserebbe certo di agire, è stupido restare paralizzati dalla paura di sbagliare, ma certamente agirebbe con più umiltà, con la certezza che l'errore, sempre in agguato, è conseguenza diretta delle azioni umane: la presenza almeno di un piano B è assolutamente indispensabile, in qualunque situazione. La reversibilità delle proprie azioni è comunque consigliabile, tornare indietro per prendere un'altra strada non è un disonore, e l'umiltà di ammettere i propri errori è un requisito fondamentale dell'intelligenza. L'altro, è imparare dagli errori. È il solo modo di crescere.

Ma il bilancio di quest'anno è in rosso proprio su questo versante: non ho sentito che poche parole di umiltà, in sordina, e non vedo una tendenza ad imparare degna di nota. Eppure, gli errori sono macroscopici, quasi giganteschi, ed hanno lasciato tracce ben visibili della loro genesi... la sensazione è quella di gente disperatamente attaccata alle proprie poltrone, per non perdere neanche un'oncia di potere, di controllo, di ricchezza, che nega anche l'evidenza, a spese di tutti gli altri. Non so voi, io comincio a rompermi le palle, di gente così.

Tutto sommato, quindi, il bilancio di quest'anno lo potrei definire ancora una sostanziale incognita: quanto riusciremo a capire? Quanto riusciremo ad imparare? Siamo in bilico tra l'arrogante sicumera di tanti, troppi trentenni e la caparbia dabbenaggine di molti, troppi ultrasessantenni. I primi, per compensare l'assoluta mancanza di sicurezza, cercano, si creano dei punti fermi cui ancorarsi; i secondi, per coprire l'assoluta idiozia di certe scelte, forzano il sistema a rimanere in piedi, senza capire che mai le bastonate ad una mucca hanno prodotto più latte.

In mezzo, tra l'incudine e il martello, ci sono quelli come me. I figli del boom economico, i ventenni degli anni Ottanta, quelli che hanno visto l'ascesa e il declino troppo da piccoli per poter fare qualcosa, e che ora sono troppo vecchi per prendere iniziative coraggiose. Quelli che hanno atteso invano di poter prendere decisioni, che sono rimasti fregati nel ricambio, che ha perso il passo, ed ha saltato una generazione. Non è una generica geremiade, ma la consapevolezza che il nostro essere tramite tra l'incudine e il martello ha perso di significato, per trasformarci semplicemente in un cuscinetto informe tra una forza irresistibile ed un oggetto inamovibile. In effetti, per dirla alla Forrest Gump, mi sento un po' acciaccato...

Ma come per le antiche lame giapponesi, o quelle arabe, od un semplice coltello da cucina, l'essere tra l'incudine e il martello vuole dire forgiarsi, temprarsi, diventare più forti, taglienti, flessibili e resistenti... alla fine della fiera, quelli della mia generazione sanno di poter affrontare qualunque cosa, e di fatto lo fanno tutti i giorni, sanno essere pazienti, sanno mantenere la calma... però il proverbio recita "guardati dall'ira del paziente": dunque, forse, è ora di farsi girare un po' le palle. Tanto per mettere i puntini sulle "i".

Per adesso, però, mi siederò sulla riva del fiume, ad aspettare. Il tempo, si sa, risolve molte cose, chissà che non risolva anche questa. In caso servisse, gli darò una mano... a modo mio.

giovedì 25 dicembre 2008

Caro Babbo Natale...

Non poteva mancare la "letterina"...
Anche se ho poco tempo, tra mezz'ora circa si parte per il pranzo di famiglia, due righe due devo lasciarle, a testimonianza di un Natale in tempo di crisi.

Quindi, caro Babbo Natale, vedi di fare il tuo dovere, e porta un po' di speranza, un po' di serenità a tutti quelli che ne hanno davvero bisogno. Oggi il cielo è grigio, un freddo umido permea questa strana atmosfera natalizia, ma io so che oltre le nuvole il sole continua a splendere. Forse un po' indifferente alle cose umane, ma splende. Allora, andiamo avanti, sempre e comunque, e cerchiamo di godere dell'oggi, perché, come diceva un saggio dei cartoni animati, "ieri è storia, domani è un'incognita, ma oggi è un dono... è per questo che si chiama presente!".

Bene, oggi è il venticinque di dicembre del duemilaeotto, quindi:
buon Natale a tutti!

giovedì 4 dicembre 2008

Tempo al tempo

Dare tempo al tempo: prendersi una pausa, fermarsi a riflettere, o semplicemente attendere che una catena di eventi avviati segua il suo corso. Questo, secondo me, il significato di un luogo tanto comune da essere scontato. Tuttavia, proprio il suo essere scontato non dà la misura esatta di quanto sia in realtà disatteso: chi ha tempo, ormai, di attendere? Chi sa, conosce ed applica questa antica massima con cognizione di causa? Il luogo comune più contrapposto a questo è che tutti andiamo di fretta, ma anche qui i pareri sono discordi.


Saper attendere, come saper correre, la pazienza associata all'adrenalina, il cambiare stato con un semplice atto di volontà: in una parola, il controllo delle proprie emozioni e delle proprie reazioni è uno dei punti centrali del "conosci te stesso", ed è, non a caso, uno dei cardini di tutte le filosofie orientali. Che tanto ammiriamo, in Occidente. Senza, ovviamente, capirne un fico.


Eppure, qualche indicazione dalla lontana Asia l'abbiamo saputa trarre, e tradurre in sistemi per noi più comprensibili: basti pensare a quello splendido manuale di sopravvivenza che è "Lo zen e l'arte della manutenzione della motocicletta" (che, porca miseria, ho appena perso nella libreria), dove nella pratica più comune legata all'occidente industrializzato e materialista, la manutenzione di un mezzo meccanico, si ritrovano tutte le tecniche e l'arte del controllo delle emozioni tipiche dello zen e di molte altre discipline.


Ecco. Il distacco dalle emozioni, il loro controllo, non significa necessariamente non averne, disprezzarle o volersi allontanare da esse. Significa, secondo me, averne così tante da necessitare di un modo per trarne profitto, per non esserne travolti, per apprezzare di ognuna il giusto sapore, ed averne profonda consapevolezza.

Qualcuno, la chiama semplicemente pazienza.