martedì 30 dicembre 2008

Tutto sommato

È tempo di bilanci, il nuovo anno ha già suonato il campanello, tra poco entrerà in casa, sarà nostro ospite per un anno intero, bisogna preparare la stanza. Chi ci lascia, invece, sta presentando il conto: partita doppia, dare ed avere, col conguaglio di fine anno. E quest'anno, mi sa, siamo andati pesantemente in rosso. Investimenti sbagliati, speculazioni azzardate, economia creativa, molto creativa, quasi cretina, un vortice di cifre da capogiro che si sono volatilizzate, svanite nel nulla, un castello di carte che è miseramente crollato al primo soffio di vento. La piramide era rovesciata ed ha perso l'equilibrio. E pensare che la fantascienza l'aveva previsto, almeno... boh, non ricordo, ma penso non meno di vent'anni fa. Era un vecchio Urania, il titolo era "Effetto valanga", ed ipotizzava il crollo dell'economia mondiale, che, dopo affannose ricerche, si stabiliva fosse partito dal mancato acquisto di un frigorifero... la parte fantascientifica era il fatto che tutto ripartiva dopo che il governo (statunitense, manco a dirlo) con gli ultimi soldi liquidi rimasti in cassa, finanziava quell'acquisto, e la catena si rimetteva miracolosamente in piedi. Pura fantascienza, appunto.

Il nocciolo della questione, però, era assolutamente azzeccato: la fragilità intrinseca dell'economia occidentale, mutabile come il tempo meteorologico, e con le stesse probabilità di essere prevista, o pianificata. I meteorologi, però, partono con la consapevolezza che il loro lavoro può essere vanificato dal battito d'ali di una farfalla, e che la complessità della meteorologia stessa è ben lungi dall'essere pienamente compresa. Partono, soprattutto, dalla consapevolezza che esiste un "sistema pianeta" che ingloba e comprende ogni singola molecola presente sulla nostra cara vecchia palla di fango, quindi niente, assolutamente niente, è irrilevante, o secondario, od ininfluente. Solo, non riusciamo a comprendere tutto, non riusciamo a creare un sistema che possa comprendere tutto, quindi partiamo con un pesante handicap di conoscenza, di progettazione, di capacità di azione.

Una persona razionale, nella media, con queste premesse, non cesserebbe certo di agire, è stupido restare paralizzati dalla paura di sbagliare, ma certamente agirebbe con più umiltà, con la certezza che l'errore, sempre in agguato, è conseguenza diretta delle azioni umane: la presenza almeno di un piano B è assolutamente indispensabile, in qualunque situazione. La reversibilità delle proprie azioni è comunque consigliabile, tornare indietro per prendere un'altra strada non è un disonore, e l'umiltà di ammettere i propri errori è un requisito fondamentale dell'intelligenza. L'altro, è imparare dagli errori. È il solo modo di crescere.

Ma il bilancio di quest'anno è in rosso proprio su questo versante: non ho sentito che poche parole di umiltà, in sordina, e non vedo una tendenza ad imparare degna di nota. Eppure, gli errori sono macroscopici, quasi giganteschi, ed hanno lasciato tracce ben visibili della loro genesi... la sensazione è quella di gente disperatamente attaccata alle proprie poltrone, per non perdere neanche un'oncia di potere, di controllo, di ricchezza, che nega anche l'evidenza, a spese di tutti gli altri. Non so voi, io comincio a rompermi le palle, di gente così.

Tutto sommato, quindi, il bilancio di quest'anno lo potrei definire ancora una sostanziale incognita: quanto riusciremo a capire? Quanto riusciremo ad imparare? Siamo in bilico tra l'arrogante sicumera di tanti, troppi trentenni e la caparbia dabbenaggine di molti, troppi ultrasessantenni. I primi, per compensare l'assoluta mancanza di sicurezza, cercano, si creano dei punti fermi cui ancorarsi; i secondi, per coprire l'assoluta idiozia di certe scelte, forzano il sistema a rimanere in piedi, senza capire che mai le bastonate ad una mucca hanno prodotto più latte.

In mezzo, tra l'incudine e il martello, ci sono quelli come me. I figli del boom economico, i ventenni degli anni Ottanta, quelli che hanno visto l'ascesa e il declino troppo da piccoli per poter fare qualcosa, e che ora sono troppo vecchi per prendere iniziative coraggiose. Quelli che hanno atteso invano di poter prendere decisioni, che sono rimasti fregati nel ricambio, che ha perso il passo, ed ha saltato una generazione. Non è una generica geremiade, ma la consapevolezza che il nostro essere tramite tra l'incudine e il martello ha perso di significato, per trasformarci semplicemente in un cuscinetto informe tra una forza irresistibile ed un oggetto inamovibile. In effetti, per dirla alla Forrest Gump, mi sento un po' acciaccato...

Ma come per le antiche lame giapponesi, o quelle arabe, od un semplice coltello da cucina, l'essere tra l'incudine e il martello vuole dire forgiarsi, temprarsi, diventare più forti, taglienti, flessibili e resistenti... alla fine della fiera, quelli della mia generazione sanno di poter affrontare qualunque cosa, e di fatto lo fanno tutti i giorni, sanno essere pazienti, sanno mantenere la calma... però il proverbio recita "guardati dall'ira del paziente": dunque, forse, è ora di farsi girare un po' le palle. Tanto per mettere i puntini sulle "i".

Per adesso, però, mi siederò sulla riva del fiume, ad aspettare. Il tempo, si sa, risolve molte cose, chissà che non risolva anche questa. In caso servisse, gli darò una mano... a modo mio.

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