domenica 11 gennaio 2009

Il libro delle facce

Ebbene sì: ho deciso di andare in controtendenza, ed ho disattivato il mio account su FaceBook. Con buona pace di chi lo trova indispensabile,  irresistibile, utile o solo divertente, ho tolto la mia faccia dal libro sostanzialmente perché lo trovo inutile, ed anche un po' infantile. Eppoi un suo uso "fruttuoso" ruberebbe troppo del mio già poco tempo. Aggiungiamoci che tendo a creare e dimenticare username e password con estrema facilità (colpa mia): ogni volta doversela far rimandare è un tedio assurdo.

Non sono certo nella posizione di poter muovere critiche sociologiche ad un fenomeno di massa, ma la mia sensazione è quella di un "muretto" virtuale, con tutti i pregi ed i difetti dello stesso, quelle dinamiche di gruppo che tutti, chi più chi meno, hanno passato, o stanno vivendo.
Eppure, il fenomeno sta diventando realmente di massa: persone insospettabili si "loggano" sul libro delle facce, la domanda "sei su FaceBook?" appare ormai di default anche nei talk show, e rispondere di no può essere solo una provocazione, un voler essere bastiancontrari a tutti i costi. Se ne pontifica, anche: star lì a discutere se questo o quell'aspetto del libro delle facce sia più o meno efficiente o confacente allo scopo (quale?) sta assumendo le tradizionali caratteristiche della discussione da bar dello sport. C'è da dire che anche i soggetti che ne parlano in quei termini corrispondono al profilo... ma sto diventando acido e cattivo, e non mi va.

Resta il fatto che ho tolto la mia, di faccia, dal libro. C'è chi dice menomale, ma sono le solite malelingue... basta non dar loro ascolto.
E quindi l'ho tolta. Non sono sicuro delle sensazioni che mi pervadono, ora, ma sono un misto di sollievo e di preoccupazione. Senza una ragione apparente, il fatto di non dover rispondere ad un altro pubblico consesso mi solleva, dall'altro, ho la sensazione di essermi isolato ancora di più dal mondo, in un tentativo di sfuggire ad un "buffer overflow" da iperesposizione. Sono connesso da poco, tre anni circa, ma è abbastanza per sapere che la rete è un mare, un oceano, e così come il mare va rispettata, o può sommergerti. Bisogna saper nuotare bene, bisogna conoscere le correnti, i venti, le secche... e dove trovare il pesce migliore. Non è concepibile, perlomeno per me, affrontare il mare senza un'adeguata preparazione. Da qui il corollario conseguente: non credo di essere preparato.

Eppure, ora, sono qui e ne sto scrivendo... sono in mare e nuoto. La differenza, se c'è, è sottile... e non sono sicuro di averla capita. Ma amo il mio blog, con tutti i suoi limiti, che sono i miei, e ne centellino le risorse, gustandole una per una, godendo del piacere dello scrivere, piacere solitario per elezione, senza sentirmi in contraddizione per non volere essere nel libro delle facce.

Sto scrivendo questo post in maniera discontinua, interrotto da cene, telefonate, giorni di pausa, quindi so da me che è un po' slegato, nella sua struttura. È il rischio del blog. Ma forse è proprio questo che me lo fa amare di più: questo suo comunque essere disponibile, in qualunque momento, a riprendere un discorso interrotto come nulla fosse successo, con la pazienza di un ascoltatore attento e discreto, senza aver nulla a pretendere più di un senso quasi compiuto, di una frase in corretto italiano.

In fondo, è esattamente quello che sono io.