Il fatto, in sé, è forse non particolarmente significativo, tranne per i presenti, ma credo che segni un punto di svolta nella mia attività. Spero solo di saperlo cogliere nel modo giusto... facciamo un po' di cronistoria: oggi, per la prima volta in quattordici anni che lavoro per la stessa azienda, sono stato mandato fuori ufficio, cosa già di per sé straordinaria, per partecipare ad una riunione con un cliente... da solo ed in veste di responsabile per la grafica! Perdinci, ancora un po' e divento il direttore artistico! Non basta, la riunione aveva una criticità per via della contestazione dello stile della giornalista che coordina e redige i testi... una seria professionista ed un'amica, che ho sofferto a vedere in difficoltà. Per farla breve, l'incomprensione tra lo chef (oh, ovviamente è un libro di cucina) e la mia amica stava facendo salire la tensione alle stelle, ed a poco serviva il mio materiale, che pure tutti continuavano a lodare senza entrare troppo nel merito, per rasserenare l'atmosfera. Quando mi sono reso conto che i toni stavano salendo un po' troppo, ho preso il coraggio a due mani (sic!) e sono intervenuto. Ho detto la mia, senza riflettere troppo, badando più ad un accento di conciliante professionalità che non al contenuto... e mentre parlavo (mirabilia!) sono accadute due cose: primo, mi stavano ascoltando tutti... secondo, da non so dove, ho tirato fuori un'idea che ha messo tutti d'accordo, e che (mirabilia due!) funziona perfettamente!
Ragazzi, è stato un momento irripetibile... il mio spirito pavone ancora gongola.
La carica che mi ha dato questo in fondo piccolo evento mi ha fatto riflettere sul valore che la gratificazione ha per chi lavora, quale che sia il lavoro che fa. Essere gratificati, molto spesso, fa la differenza tra un lavoro ben fatto ed uno totalmente inutile. Essere gratificati può anche non avere una valenza economica, anzi, molto spesso un ringraziamento fatto bene vale più di mille aumenti di stipendio (per quanto... ogni tanto...), ma soprattutto la gratificazione ha il significato profondo del rispetto verso chi lavora e verso il lavoro che svolge, ed è una cosa che dovrebbe essere assolutamente normale, quasi ovvia, per un datore di lavoro di qualsivoglia tipo. Rispettare il lavoro, e la persona che lo fa, è una delle molle più potenti per realizzare qualsiasi cosa, per generare entusiasmo, attenzione, dedizione, diminuire in maniera drastica gli errori, ottenere il mitico "presto e bene" che è benzina indispensabile per il motore economico generale. La domanda che sorge spontanea è: ma perché è così difficile da capire? Lavoro, e si può dire che vivo, in un'azienda dove il concetto fondamentale è "chi lavora per me mi sta fregando qualcosa", e non a caso la crisi si è sentita, eccome... e chi è rimasto sta stringendo i denti e la cinghia per superare il senso di disagio di questo presupposto. È qualcosa che "inquina" nel senso più deleterio del termine, avvelena i rapporti non solo tra il lavoratore e il datore di lavoro, ma tra gli stessi dipendenti: astio e ripicche, il "non è una mia mansione", denigrare costantemente il lavoro altrui non è un bel modo per lavorare in squadra. Eppure basterebbe così poco... e, nel mio piccolo, cerco e cercherò sempre di dare l'esempio. Anche perché mi diverte lavorare, e voglio continuare a divertirmi, a dispetto di tutto e di tutti, nella mia disinvolta anarchia, nella mia istintiva professionalità, con tutte le mie forze.
Perché credo che il diritto al lavoro e il diritto alla felicità sono in buona sostanza la stessa cosa.
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